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sabato 14 gennaio 2012

La carta più alta di Malvaldi Lo scrittore pisano ha presentato l'ultimo libro nella sua città

“A parte Bruno Vespa chi scrive è perché la realtà così com’è non riesce proprio a sopportarla. Ha bisogno di cambiarla”. Uno stile sarcastico e pungente Marco Malvaldi non lo usa solo nello scrivere, di fronte ad una sala gremita della libreria Feltrinelli di Pisa, nel presentare a voce La carta  più alta, il suo quarto romanzo della serie del BarLume, nelle librerie solo da un giorno, è coinciso, diretto, ironico come nei suoi libri. Quando scrive diverte e si diverte perché, come ammette lui stesso, lo fa anche per ridere e non per macerarsi dentro. Ma nel suo ultimo libro c’è un evoluzione. “Finora – precisa l’autore - nei miei romanzi la trama era abbastanza secondaria serviva solo come filo conduttore. Ne "La carta più alta" è diverso, ho cercato di costruire una trama che potesse soddisfare anche il giallista più esigente. Questa volta è difficile poter immaginare il colpevole anche dopo aver letto i tre quarti del romanzo”
Nel nuovo giallo del BarLume il protagonista, il barista Massimo che Malvaldi definisce il contrario di se, il suo “sfogo sul mondo”, perché fa tutto ciò che per buona educazione l’autore non può fare, all’inizio sarebbe tutt’altro che propenso ad interessarsi alle dietrologie dei quattro vecchietti abbarbicati tutto il giorno al tavolo del suo bar. Se è vero che dalla noia nascono i bar, per Massimo “non è che tutti gli anni possono ammazzare qualcuno per farvi passare il tempo”. Ma nonno Ampelio, il Rimediotti, Pilade Del Tacca del Comune, Aldo il ristoratore, dalla vendita sottoprezzo di una villa lussuosa, la stessa dove Aldo, a cui avevano appena distrutto il locale, aveva ricevuta l’offerta di aprire un ristorante in comproprietà, sono convinti che la morte del vecchio titolare, Ranieri Carratori, sia dovuta ad omicidio e non a malattia.
Attraverso le conoscenze di Pilade in Comune, i quattro amici al bar erano, infatti, riusciti ad appropriarsi dei vecchi atti di acquisizione del fabbricato e a scoprire che il bene era stato comprato solo come nuda proprietà, e quindi destinato a rimanere in mano al venditore, il Carratori appunto, che però, guarda caso, sarebbe morto improvvisamente nel giro di pochissimo tempo dalla stipula del contratto, ufficialmente, per un tumore. Un banale incidente, la rottura di un tendine, costringerà Massimo a un ricovero proprio nella stessa clinica in cui è morto Carratori. La lunga e noiosa ospedaliera permetterà al protagonista di rielaborare tutte le informazioni e ricostruire la vicenda. Come nei classici del giallo deduttivo, il lavoro di intelletto investigativo consentirà, attraverso un intuizione del protagonista, la soluzione del caso.
Nel quarto romanzo del BarLume, il nome è scaturito dalla fantasia della moglie di Malvaldi, nella immaginaria località “Pineta”, luogo inventato per “motivi civili e penali” tra Marina di Pisa e Tirrenia, è anche rientrata Tiziana, la mitica e discreta commessa del bar, uscita di scena in seguito al suo matrimonio alla fine del terzo  romanzo. L’autore l’ha fatta separare, e quindi tornare in servizio, con la motivazione di “abuso di videogiochi” da parte del marito. Malvaldi ha, però, voluto precisare di non aver lavorato solo di fantasia: i casi di divorzi in Italia con una tale motivazione sarebbero solo nell’ultimo anno almeno quattrocento.
Enrico Stampacchia

Fonte: http://www.pisainformaflash.it/notizie/dettaglio.html?nId=9316
L'intervista all'autore

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