indice

sabato 31 dicembre 2011

Pisa nel medioevo


Duecentotrentatre interventi archeologici negli ultimi ventun’anni: una mole straordinaria che, tra assistenze, sondaggi del suolo e scavi, ha visto protagonista il territorio di Pisa e di cui almeno la metà relativi al periodo medievale. Tuttavia non sempre i dati archeologici sono stati tradotti in un’adeguata opera di divulgazione. O almeno non lo sono stati i nuovi dati perchè sul piano editoriale i primi anni Novanta hanno prodotto ottime sintesi di studio proprio sulla topografia e l’impianto urbanistico medievale di Pisa. Anche per rispondere a questo gap informativo è uscito da poche settimane il libro dell’archeologo Gabriele Gattiglia Pisa nel Medioevo edito da Felici Editore, sintesi di un più ampio lavoro di ricerca che sarà presto pubblicato nella sua veste scientifica. Per l’autore a partire dagli anni Novanta e ancora di più nell’ultimo decennio si è consolidata una "forte attenzione della Soprintendenza per l’archeologia preventiva che ha portato ad un vero e proprio boom di scavi e ad una sempre maggior attenzione da parte dell’amministrazione cittadina nello sfruttare i lavori pubblici come occasione di conoscenza archeologica"
Ultimo in ordine cronologico, dopo Pisa Medicea e Pisa nell’Ottocento della collana Itinerari di Felici Editore, l’obiettivo del nuovo volume è quello di rivolgersi a un vasto pubblico interessato all’archeologia medievale e alla conoscenza della storia di Pisa e di ricostruire la trasformazione urbanistica a partire dall’Altomedioevo. Il libro mostra come la costruzione delle case-torri, delle mura comunali e dei grandi edifici religiosi sia la conseguenza di un periodo, tra XI e XIII secolo, in cui la città era diventata uno dei principali centri europei di crescita e, favorita da una fitta rete di porti marittimi e fluviali, si era sviluppata una classe mercantile sempre più intraprendente. "Chi legge – precisa l’autore – non troverà le date importanti che hanno fatto grande la città in questi secoli, ma cultura materiale e topografia. Il dato topografico si fa storia, l’aspetto cartografico diventa aspetto cronologico".
Così la lettura di nuovi dati archeologici può fornire risposte a fenomeni ad eventi connessi alla storia del territorio. Se, ad esempio, l’avanzamento del litorale è connesso anche all’apporto dei sedimenti trasportati dall’Arno, le cause possono essere rintracciabili anche in eventi alluvionali il cui aumento di intensità nel periodo successivo al V secolo d.C. sembra essere confermato dallo scavo presso il cantiere delle navi romane. Mettendo poi in relazione i tracciati attribuibili al fiume Auser con i dati archeologici riferibili agli scavi di via Marche e via Galluppi si può trovare conferma del fatto che un ramo del fiume scorresse proprio nelle vicinanze di entrambi gli scavi. Sempre i dati archeologici segnalano la scomparsa tra il V e il VII secolo di due approdi fluviali come quello di Isola di Migliarino e di San Rossore.
I dati raccolti indicano, più in generale, una profonda trasformazione del paesaggio avvenuta tra la tarda antichità e l’Altomedioevo: cambiamenti climatici, con i ripetuti eventi alluvionali, associati al decadimento di un sistema di organizzazione economico e sociale che rendeva possibile l’utilizzo della pianura pisana attraverso un’attenta irregimentazione delle acque, provocarono l’impaludamento delle aree pianeggianti intorno alla città e lungo i fiumi.
Tuttavia dal libro di Gattiglia emerge come storia del territorio e cultura materiale non solo siano fortemente connessi ma che lo siano attraverso un legame non unidirezionale. Lo spopolamento del territorio pisano nell’Altomedioevo non fu solo un effetto dei mutamenti ambientali ma ne fu a sua volta causa perchè non consentì più la manutenzione della rete infrastrutturale. Sarà proprio la capacità di saper sfruttare la rete idrica e la sua messa a sistema con le altre risorse territoriali ad accompagnare il grande sviluppo urbano del XI – XIII secolo. Fiumi e paludi furono sfruttati per approvigionarsi di materiali per la produzione di laterizi e vasellame e costituirono un efficace sistema di comunicazione.
Nella sua approfondita sintesi di studio a partire dall’analisi dei dati archeologici, Gattiglia chiarisce bene cosa intenda quando, nella premessa, afferma che "non può esistere storia che prescinda dallo spazio", da quello urbano della città racchiusa nel perimetro murario bassomedievale, a quello periurbano che arriva fino al Serchio e al Porto Pisano.

venerdì 30 dicembre 2011

I collegi d’eccellenza nella storia di Pisa


Ci sono libri che scaturiscono dalla fantasia di uno scrittore ed altri che invece sono il prodotto di un lungo ed approfondito lavoro di ricerca e che ricostruiscono episodi, momenti, istituzioni, comunità, talvolta dimenticati o che, se noti, hanno bisogno di essere compiutamente interpretati. E' il caso di Scuole di responsabilità. I "collegi nazionali" nella Normale gentiliana (1932-1944) di Andrea Mariuzzo, Edizioni della Normale.
Una parte della storia di Pisa, è un fatto noto, sta nella sua Università, o meglio dovremmo dire nelle sue Università, al plurale. Non esiste città in Italia che abbia istituzioni universitarie simili ai "collegi", alla Scuola Normale e alla Scuola S. Anna, dove la formazione di eccellenza prevede non solo la frequenza della Università, ma la permanenza in apposite residenze, i "collegi", appunto.
Pisa così ha avuto in sorte di essere stato luogo di formazione della élite culturale e politica, talvolta arrivata da fuori e destinata a svolgere un ruolo nazionale. Alla Scuola Normale, di origine napoleonica, nei primi anni Trenta del secolo scorso si affiancano, in un progetto ambizioso, due nuovi "collegi", il Collegio Mussolini, e il Collegio Nazionale Medico, che si rivolgono agli studenti non delle Facoltà di Lettere e di Scienze come la Normale ma a quelli della Facoltà di Giurisprudenza e di Medicina. Mentre il Collegio Nazionale Medico, istituito anche attraverso un pionieristico consorzio cui partecipano aziende, assume un ruolo più defilato, come si addice a chi è fortemente impegnato nella attività clinica, il Collegio Mussolini intende prefigurare un progetto più ampio. Lo anticipa la formazione presso la Facoltà di Giurisprudenza di una Scuola di Scienze Corporative, a capo della quale da Roma arriva Giuseppe Bottai, uno dei maggiori intellettuali messi in campo dal fascismo che lega la sua carriera politica alla elaborazione della dottrina del corporativismo, la specifica "terza via" che il fascismo, regime nuovo, vorrebbe come propria originale creazione.
Così da Pisa sede universitaria passa una parte consistente di quel dibattito, e il nuovo Collegio Mussolini dovrebbe essere una sorta di vivaio dell'intellighenzia corporativista e fascista. Alla Normale diretta da Giovanni Gentile si affianca dunque un progetto di larga portata, che Andrea Mariuzzo, giovane storico contemporaneo, studia con grande attenzione e capacità interpretativa. Seppur attraverso il Collegio Mussolini passino molti giovani che diventeranno, dopo la delusione e il crollo del fascismo, uomini prima della Resistenza poi della repubblica democratica, nel libro di Mariuzzo viene superata, come del resto in altri recenti studi relativi al fascismo universitario, l'idea affacciata nell’immediato dopoguerra che aveva ridotto questa esperienza solo ad una sorta di lunga fronda anticipatrice della presa di coscienza antifascista. Il percorso di questa generazione controversa è in realtà assai più complesso e articolato. Come lo è anche l'indirizzo del Collegio medesimo che anche tra i docenti è luogo controverso e subirà in pieno la crisi del corporativismo.
L’analisi approfondita di Mariuzzo segue da vicino anche le vicende personali e professionali dei singoli collegiali. L’autore fornisce un giudizio complessivo di questa esperienza sotto la definizione, che dà il titolo al libro, di "scuole di responsabilità", di luoghi di educazione ad una cultura professionale che trovi nella formazione umana e personale un elemento basilare e nella sua proiezione verso l'impegno collettivo una caratteristica imprescindibile. Osserva anche per i collegiali del Medico la "tendenza ad allocarsi in ruoli professionali tra i più prestigiosi degli organigrammi della sanità italiana".
Collegio Mussolini e Collegio Nazionale Medico sono confluiti, insieme ad altri collegi di altre facoltà, e per vari stadi, in quella che è oggi la Scuola Superiore S. Anna, e basterebbe questo a farne un elemento importante della storia di Pisa. Il libro di Mariuzzo ci ricorda come sia a pieno titolo parte della storia e della temperie di questa città anche quella storia più nascosta, meno visibile, ma non per questo minore, che si svolge nei luoghi universitari, nei "collegi", nelle aule, nelle biblioteche e nelle cliniche.
Enrico Stampacchia

martedì 27 dicembre 2011

Itinerari del Risorgimento a Pisa

Mancano ormai pochi giorni alla conclusione dell’anno di ricorrenza del 150° dell'Unità d’Italia e, anche per il ruolo che ha avuto Pisa in quegli anni, tra le tante guide della città vale la pena di segnalarne una particolare che ripercorre i principali luoghi e monumenti legati al Risorgimento pisano. Pubblicata ad ottobre da Edizioni Ets in occasione della riapertura della Domus Mazziniana, Un viaggio nella storia-Itinerari del Risorgimento a Pisa a cura di Fabiana Campanella (l’introduzione è di Stefano Renzoni) propone undici itinerari che difficilmente troveremmo in una guida turistica.
Se, come ricorda nella presentazione l’assessore alla cultura del Comune di Pisa Silvia Panichi, "la grandezza della Pisa medievale schiaccia con le sue meravigliose facciate romaniche i monumenti un po’ retorici e desueti del tardo Ottocento", conoscere il loro significato simbolico, i modelli artistici a cui si ispirano e gli avvenimenti evocati, con protagonisti del Risorgimento italiano, quali Mazzini e Garibaldi, in relazione con la società civile pisana, rappresenta un utilissimo percorso di "storia e memoria".

Per percepire i radicali mutamenti di prospettiva celebrativa che si sono determinati in epoche diverse basta osservare la differenza tra il monumento ai caduti di Curtatone e Montanara inaugurato nel cortile del Palazzo della Sapienza nel 1924, e lì tuttora presente, e quello precedente, inaugurato nel 1889, e dopo la sostituzione spostata nel camposanto suburbano di via pietrasantina. Al posto di un soldato riverso e morente, la nuova statua rappresentava un gladiatore trionfante.
Con lo sguardo rivolto ai caduti della prima guerra mondiale ci si orientava, rispetto alle prime intenzioni commemorative del Risorgimento, alla retorica nazionalpatriottica: al centro non sono più i caduti bensì il loro gesto eroico per la patria e, a Pisa come altrove, si gettavano le basi per una propaganda di guerra che legava in unico filo Curtatone e Montanara, la Grande guerra e la rivoluzione fascista.
Dalla lettura della pubblicazione emerge anche come l’inaugurazione di monumenti cittadini e il mutamento di toponomastica si intreccino con anniversari di noti fatti storici, che hanno coinvolto la città di Pisa, e aneddoti rivelatori di un clima politico. Un esempio è quando, nel giugno 1892, venne inaugurato il monumento di Ettore Ferrari, e contemporaneamente intitolata l’allora piazza del Ponte, a Giuseppe Garibaldi in corrispondenza del trentennale del suo sbarco a Pisa sull’ex lungarno Regio (attuale lungarno Pacinotti). L’eroe del Risorgimento, ferito in Aspromonte dall’esercito italiano per fermare l’avanzata delle sue truppe verso lo Stato della Chiesa, venne a Pisa per curarsi e alloggiò presso l’Albergo delle Tre Donzelle (accanto all’attuale Hotel Vittoria).
Tracce dell’avvenimento le possiamo riscontrare leggendo l’epigrafe (con la scritta "la barca che trasportava l’eroe Giuseppe Garibaldi ferito in Aspromonte approdava in questo luogo") tuttora collocata sul muro del lungarno dove avvenne lo sbarco. Un viaggio nella storia ci indica., tuttavia, non solo che la lapide comparve misteriosamente già pochi giorni dopo lo sbarco ma che fu subito rimossa dalle autorità locali con il benestare dello stesso Garibaldi che la vide dalla finestra del suo albergo. Si trattava di smorzare gli animi verso fatti, prima il ferimento e poi la detenzione a La Spezia dell’eroe dei due mondi, che fecerò indignare patrioti e fan di tutta Europa.
Un clima ben diverso si respirava trent’anni dopo: a tre mesi di distanza da quella di Garibaldi, nel settembre 1892, veniva inaugurata la statua di Vittorio Emanuele II di Cesare Zocchi, un solenne monumento che, sebbene dalla posa del sovrano sembrava quasi voler convincere di esser di fronte all’unico artefice dell’Unità d’Italia, anche a Pisa completava sul piano iconografico l’ormai diffusissimo trittico risorgimentale che vedeva il primo re d’Italia affiancato a Mazzini (la statua in marmo che lo raffigura era stata collocata in piazza Mazzini nel 1883) e Garibaldi.
Come fa notare Renzoni nella conclusione della sua introduzione "i monumenti spesso servono per confondere e celare, non certo per chiarire e mostrare". D’altra parte è noto come l’iconografia celebrativa sia spesso capace di sfiorare il paradosso: non occorre andare troppo lontano per vedere collocati i busti di Mazzini e Garibaldi niente meno che in mezzo alla serie di santi e profeti. Basta alzare gli occhi sotto la cupola del battistero pisano.
Enrico Stampacchia

domenica 25 dicembre 2011

L’arte a Pisa in 200 immagini


Le lunghe e frequenti soste culinarie di questi giorni aumentano spesso il desiderio di limitare i momenti di assoluta sedentarietà. Le alternative non sono poche, ma per chi è interessato ad una full immersion in un itinerario d’arte, Pisa potrebbe riservare molte più sorprese del previsto. Se, quando raggiungiamo piazza dei Miracoli, non occorre avere occhi esperti per percepire di essere in uno dei principali centri europei del Medioevo, non è affatto scontato che tale consapevolezza rimanga inalterata quando, senza magari neppure saperlo, ci avviciniamo ad altri numerosi luoghi d’interesse artistico del centro cittadino.
Un validissimo aiuto lo potremmo trovare nella recente pubblicazione "L’arte a Pisa in 200 immagini" di Lorenzo Carletti e Cristiano Gionetti (l’introduzione è di Antonino Caleca) con cui Pacini editore inaugura la nuova collana "Città d’Italia – L’arte per immagini". Opere selezionate di tutte le epoche, dall’antichità a quella contemporanea, sono riprodotte in un ricco apparato iconografico affiancato da sintetiche didascalie. Non si tratta di una guida turistica ma di uno strumento efficace che può consentire anche ai non esperti di crearsi un percorso culturale d’arte inedito individuando, tra le 200 illustrazioni fotografiche, le opere capaci di suscitare un particolare interesse personale. Un contributo alla valorizzazione di un tessuto storico-artistico ricco, spesso, nonostante i notevoli progressi degli ultimi anni, poco conosciuto al di fuori degli studi specialistici, assolutamente opportuno anche perché in alcuni edifici di interesse storico, a cominciare da luoghi di culto, le segnalazioni di opere d’arte e di dipinti sono ancora troppo poche.
Nella lettura della panoramica dei luoghi caratteristici della città e dei dintorni, con una carrellata di opere di varia natura presentata in ordine cronologico, emerge l’assoluta rilevanza, a volte sottovalutata, del Museo nazionale di San Matteo in cui sono conservate venticinque delle duecento opere d’arte segnalate, ma anche del Museo dell’Opera del Duomo. Tuttavia per poter vedere molte opere d’arte originariamente appartenenti ad edifici e chiese pisane non sempre sarà sufficiente una visita ai nostri musei: se vogliamo ammirare la Maestà di Cimabue e il San Francesco che riceve le stimmate di Giotto, originarie della chiesa di San Francesco, sarà necessario un viaggio verso il celebre, ma ben più lontano, Louvre.
Enrico Stampacchia

lunedì 19 dicembre 2011

Giuseppe Viviani dagli occhi al cuore, parlare con le immagini rispondere con le parole


“Dagli occhi al cuore è stato un viaggio su un fantomatico treno che, partendo da uno sguardo è andato oltre il visivo e si è posato non fuori, ma dentro di noi, e proprio nella stazione del nostro cuore ha collocato la sua ultima fermata”. Con questo epilogo Cristina Barsantini termina il suo libro di testimonianze e interviste Giuseppe Viviani dagli occhi al cuore, edizioni Ets, presentato a Pisa sabato 17 dicembre presso il salone del Palazzo del Consiglio dei Dodici in piazza dei Cavalieri.
In una sala gremita, coordinati dalla giornalista Rai Betty Barsantini, sono intervenuti il sindaco di Pisa Marco Filippeschi, Silvia Panichi, assessore alla Cultura del Comune di Pisa, Franca Masi, insegnante della scuola elementare di Marina di Pisa e Stefano Bucciarelli, preside del Liceo Classico G. Galilei di Pisa nell'anno 2010-2011. “Un bel libro che è un regalo alla città ed un importante segno di continuità dopo la mostra su Viviani a palazzo Lanfranchi” ha subito sottolineato Filippeschi che è anche presente con un’intervista all’interno del libro.Attraverso la testimonianza e l’interpretazione dei bambini della scuola elementare Viviani, dei ragazzi della scuola media Pisano e del Liceo Classico Galilei, ma anche di adulti non esperti del settore, l’autrice ha cercato un modo di stabilire un rapporto tra Viviani, che definisce “poeta per immagini di Marina di Pisa”, e il mondo d’oggi, un modo di far rivivere l’artista.
“Lui ha parlato con le immagini – afferma Barsantini – loro con le parole il tutto in un dialogo originale e ricco di messaggi” con una lettura spontanea che i ragazzi sono particolarmente predisposti a dare: “Hanno avuto la capacità di colmare quella frattura che si determina tra il mondo delle immagini e il mondo delle parole”.
Non è un libro di storia dell’arte ma “un tentativo di scoprire attraverso le opere di Viviani l’esperienza emozionale che si ha nell’osservazione di un quadro”  perchè “il dato tecnico diventa arte se è capace di trasmettere emozioni” precisa l’autrice sorpresa dall’entusiasmo con cui presidi e insegnanti hanno aderito all’iniziativa. L’intenzione di Barsantini di non coinvolgere critici d’arte, che pure apprezza e ammira, è stata determinata da un pessimo rapporto con le definizioni che considera un limite mentre l’arte è capace di varcare le soglie del definito: “Nelle immagini viene fissato un momento di eterno, un momento di verità che valica i confine della razionalità per penetrare nell’immaginario di ognuno.  L’arte (...) non usa il linguaggio delle parole ma quello dei sensi e si inserisce in una sfera che non ha bisogno di definizione alcuna”. Per Barsantini l’obiettivo è “imparare ad ascoltarci, a conoscerci e a riappropriarsi di noi stessi, riconoscendo le nostre emozioni che sono la nostra parte più vera”.
Per Filippeschi la figura di Viviani è straordinaria: “La sua capacità di far vivere di vita propria gli oggetti più modesti, la sagoma di una sedia, un tavolino abbandonato su una spiaggia. Nella nostra epoca così tecnologica rischia di venir meno la capacità di proiettare sugli oggetti quotidiani quel vissuto di pensieri, gioie, malinconie che permettono a tutto ciò che ci circonda di intessere con noi un rapporto quasi simbiotico ed anche venato d’affetto”. Viviani è riuscito a costruire legami molto “forti con la nostra città, rappresentata tanto bene nella sua molteplicità: dagli alabastrini della piazza del Duomo alle terrazze dei bagni di Marina di Pisa”. Sul rapporto strettissimo dell’artista con il territorio di Marina, Filippeschi conclude con un riferimento  al presente: “I molti cambiamenti sociali e strutturali in corso devono vedere una forza positiva che non faccia perdere nella memoria tracce di identità”.
Enrico Stampacchia
Fonte: http://pisainformaflash.it/notizie/archivio/dettaglio.html?nId=9058

Scacco alla torre


Non sono ancora in moltissimi a pensare che a Pisa non ci sia solo la torre da visitare. Un contributo per accrescerne il numero lo ha sicuramente dato Marco Malvaldi con il suo ultimo libro "Scacco alla torre" pubblicato il mese scorso da Felici editore.
Malvaldi ricorda come dalla sua abitazione nel quartiere di Sant’Antonio potesse quotidianamente vedere sul ponte Solferino “mandrie di turisti” attraversare l’Arno. “Americani in pantoloncini con due autobotti di lardo al posto delle gambe, giapponesi mingherlini a coppie o a frotte, tedeschi in libera uscita con una lattina di birra in mano e otto in corpo” tutti in marcia “verso il fatidico obiettivo. La torre”.
Così dopo i suoi primi quattro romanzi pubblicati negli ultimi quattro anni, Malvaldi descrive con uno stile divertente e ironico quella che potremmo definire una guida per una passeggiata nella sua città natale, ma che lo stesso Malvaldi più che una vera e propria guida turistica definisce “un libriccino su tutto quello che c’è di significativo e di godibile a Pisa [...] un pot-pourri di aneddoti, descrizioni, impressioni. Qualcosa che possa colpire tutti, pisani e forestieri, esperti e novellini, gente colta e livornesi. Qualcosa che non spieghi ma piuttosto incuriosisca”.
La maggior parte degli aneddoti e delle impressioni dell’autore li lasceremo ai lettori di un libro, sarcastico e per nulla autocelebrativo, che merita di non rimanere sugli scaffali delle librerie, seguiremo ora, attraverso Malvaldi, solo alcune descrizioni di uno dei principali percorsi della nostra passeggiata, quello dei lungarni pisani. Sulla riva destra, oltre alla Chiesa di Santa Maria della Spina, “una delle più belle chiese gotiche d’Europa”, che fino al 1870 sorgeva direttamente sul greto del fiume, possiamo notare palazzi “dipinti con colori sgargianti. Il più vistoso di questi, Palazzo Blu, è stato ultimato da pochissimi anni, e oltre ad essere piuttosto soddisfacente dal punto di vista cromatico ospita spesso delle mostre notevoli”. Sulla riva sinistra il palazzo Agostini Veronesi Della Seta,“uno dei pochi rimasti su questo lato dopo i bombardamenti del 1943 e 1944, si riconosce dalla elaborata facciata in cotto, ornata da bifore triforate”.
Potremo anche scoprire che la scritta “Alla Giornata” sopra l’arco dell’ingresso del palazzo Lanfreducci, che ospita gli uffici del Rettorato dell’Università di Pisa, deriva dal fatto che Lanfreducci, secondo il Bertini, “reduce da una lunga prigionia ad Algeri, era aduso ad una vita poco incline alle lunghe programmazioni”. Arrivando al Ponte di Mezzo, Malvaldi ritiene che il suo uso più irriguardoso si abbia “l’ultima domenica di giugno, quando ha luogo il gioco medievale che dal ponte prende il nome”. Quel che il pisanissimo Malvaldi proprio non apprezza è l’intrinseca bellezza del gioco: “forse perché, in due squadre di armadi umani che si sfidano a spingere un carrello, e nel risultante stallo che spesso ne consegue e che può può perdurare anche dei quarti d’ora, oggettivamente di bellezza non ce n’è”. La versione originale, “ovvero il gioco del Mazzascudo, nel quale due squadre si sfidavano la parte avversa in una battaglia a colpi di targone, una sorta di randello piatto (a metà tra la mazza e lo scudo)” per l’autore è certamente impossibile da organizzarsi nel mondo del politically correct anche se, ammette, “sarebbe forse più divertente”.
Enrico Stampacchia