indice

lunedì 26 marzo 2012

Arselle, al fortino di Boccadarno il libro di Fabiano Corsini. Tra memoria e nostalgia per riscoprire il “coraggio della speranza”

Così lontano, come il viaggio nelle emozioni di un tempo inesorabilmente passato, eppur così vicino, come il ricordo e l’evocazione di quella passione universale chiamata speranza. Trasmessa dalla vita quotidiana di individui e di comunità territoriali, sociali e politiche: Marina di Pisa, il circolo il Fortino, il Cantiere, la sezione del partito comunista. Chi vi ritrova la propria identità, chi un affresco di un’Italia che non c’è più. Memoria individuale che si trasforma in memoria collettiva, ricordi di vita trasmessi anche attraverso le emozioni di chi c’era. Con  nostalgia, quella sensazione di dolore che emotivamente riavvicina al luogo amato e creduto perduto. Il libro Arselle, al fortino di Boccadarno di Fabiano Corsini pubblicato da Felici Editore, e da pochissimi giorni in libreria, parla del cibo e delle lotte politiche anche come modi di fare comunità.
Presentato, il 21 marzo presso il cinema Don Bosco di Marina di Pisa in una sala gremita, tra gli altri, da Betty Barsantini, giornalista rai, Silvia Panichi, assessore alla cultura del Comune di Pisa, e Athos Bigongiali, scrittore e autore del romanzo “Ballata per un’estate calda” sui licenziamenti alla Fiat di Marina del 1957 (e con la proiezione di un dialogo incentrato su Marina di Pisa del film con Montgomery Clift, Stazione termini di De Sica e l’esecuzione  in diretta di un dipinto dell’ex assessore regionale all’ambiente Marco Betti),  il libro parla del passato ma non è riducibile ad un amarcord nostalgico. L’obiettivo è anche il futuro, è far riscoprire a chi non c’era il “coraggio della speranza”. Nella prefazione del libro Carlo Petrini, l’inventore dell’ecogastronomia e presidente di Slow food international, afferma che “quel modo di rapportarsi tra le persone, quel modo di mangiare e condividere, quella passione politica possono essere tutte ancora molto attuali” Le lotte politiche “adesso si devono spostare inevitabilmente verso la tutela dei nostri territori, del nostro mare, delle nostre campagne e dei nostri contadini”.
Per Corsini la cultura marinese riesce a preservare una sua identità da rappresentare, comprendere e interpretare attraverso una forma di empatia culturale “che ci fa diventare attenti osservatori dei fenomeni nuovi di risveglio e protagonismo locale”. Anche l’attivismo di questi anni nella produzione letteraria su Marina, per l’autore di Arselle, è forse la dimostrazione della “voglia di comunità, “la risposta a un bisogno di riconoscersi in un qualche cosa che aiuti a difendersi dalla dispersione culturale, dalla perdita di senso del vivere sociale che sembrano ormai i tratti prevalenti di questa epoca”.
Al centro del libro la vicenda di Michele e della sua famiglia, la madre Fernanda, il fratello Vinicio, il padre Felice, operaio al “Cantiere”, la fabbrica di Bocca d’Arno attiva dal 1917 al 1988 che continuava ad essere chiamata solo con la prima parola del nome, Cantiere Navale Gallinari, che aveva nei primissimi anni della sua fondazione. Il racconto non ha niente di inventato, descrive la storia di Marina negli anni Cinquanta e Sessanta quando Michele, classe 1949, era prima un bambino poi un adolescente. La narrazione non è in prima persona, inizia già nove anni prima la nascita di Michele nello stesso periodo in cui i genitori, appena sposati, si trasferirono da Uliveto Terme a Marina di Pisa per avvicinarsi alla fabbrica dove Felice lavorava già da tre anni.
Corsini narra storie di vite personali e di abitudini collettive. Memoria locale, ovvero storie minime che si intrecciano con la storia con la “S” maiuscola e con importanti avvenimenti di storia locale come i licenziamenti alla Fiat di Marina del 1957. L’autore ha raccolto molte interviste e ha scritto mettendosi nello stato d’animo di chi raccontava. Ma il personaggio principale, Michele, è l’autore stesso (la vera invenzione del racconto è il nome del protagonista) e l’intero libro è narrato con “la purezza del bambino” che scopre anche ciò che sapeva appartenere al contesto della sua comunità. Come le arselle,  pesca popolare praticata dai cittadini di Marina, scoperte da Michele solo quando “era già grandino. Da sempre aveva visto persone camminare sulla rena, nell’acqua fino a sopra i ginocchi, a trainare rastrelli. Di arselle aveva sempre sentito parlare”.
Il libro non è volutamente “una ricerca del pittoresco”, Corsini cerca di narrare la Marina di Pisa come veramente era, prima che fosse toccata dalle ruspe della modernità, ma è certamente un affresco suggestivo, anche di paesaggi e atmosfere lontani dal mondo attuale.  “Nelle  serate d’estate si sentiva il rumore del campo; suoni di grilli e di cicale, stormire di cespugli, cani che rincorrevano gatti, maiali che facevano le bizze. (...) Là, dove d’inverno il campo metteva paura tanto era buio, ora c’era un brulicare di piccole fiammelle tremule. Il campo era coperto da una grande nube di luci, una via lattea viva e piena di musica. Milioni di lucciole e le cicale che con il caldo, a sera ormai tarda avevano voglia di far festa”. Milioni di lucciole, “fiammelle tremule” di un mondo che non c’è più, ma da non dimenticare.
Enrico Stampacchia

Fonte:  http://www.pisainformaflash.it/notizie/dettaglio.html?nId=9968

domenica 18 marzo 2012

Storie di Piaggio, di amore e libertà: parla l'autore

“La fabbrica non è solo un luogo di lavoro, entri per lavorare ma diviene una comunità sociale dove umori, sensazioni si mischiano all’acre odore dell’olio emulsionato e la musica e i sogni ai rumori sgraziati delle catene e delle macchine”. Fabbrica, sindacato, comunità sociale e le loro interazioni sono al centro del libro di Franco Marchetti Storie di Piaggio, di amore e libertà pubblicato da Felici Editore. Presentato in una sala gremita, con oltre cento persone, martedì 13 marzo presso la Camera del Lavoro di Pisa oltre che dall’autore, da Gianfranco Francese, segretario generale della Cgil, Simone Millozzi, sindaco di Pontedera, Mauro Stampacchia, docente all’Università, il libro attraverso episodi, fatti di cronaca e aneddoti racconta quell’universo di uomini e donne che dentro la fabbrica lavorano, lottano, interagiscono con i loro sogni, desideri, comportamenti quotidiani.
Ne parliamo con Franco Marchetti, lavoratore Piaggio dal 1972 al 1995, delegato di fabbrica dal 1977 e dal 1991 al 1996 nel comitato direttivo nazionale della Cgil.

Come è nata l’idea del libro?
Quando ho scritto questi racconti non pensavo di scrivere un libro. Li scrivevo come note su facebook e generalmente rimandavano a temi di attualità connessi alla messa in discussione di diritti che non esistono per grazia ricevuta ma perché qualcuno in passato ha lottato per averli. Molte persone mi mandavano i commenti e alcuni mi suggerirono di pubblicarli perché queste storie di fabbrica non si raccontano più.

Si tratta di esperienze autobiografiche...
Non vuole essere un’autobiografia. In questa forma non sarebbe interessata a nessuno. Il mio obiettivo era dar luce a persone che sono anche parte di una collettività, far conoscere il senso di vivere una comunità come la fabbrica. Lo scopo non è raccontare in maniera storiografica, ma piuttosto far emergere i pensieri, gli umori, le sensazioni, e anche le cose minute di vita quotidiana, per conoscere e capire.

Parli della fabbrica, ma anche del sindacato. Lo fai trasmettendo una forte passione umana nell’attività sindacale, senza connotati di appartenenza, o di supponenza ideologica, tanto che è apprezzabile anche da sensibilità politiche che possono essere molto diverse dalle tue...
Non esisterebbero organizzazioni sindacali o forze politiche se non ci fossero persone parte di una collettività che partecipano. Sono persone che non finiranno sui libri di storie, ma senza di loro non si fa la storia. Nel mio libro ho voluto dare voce a questi uomini e donne, parlare di vita vissuta. Non avevo la presunzione di insegnare niente a nessuno. Non volevo idealizzare la classe operaia, l’operaio si fa per necessità non per scelta, volevo mettere in luce la quotidianità, la realtà delle cose da far comprendere a tutti nella loro semplicità.

Sono oltre centosessanta (compresi, però, molti personaggi pubblici) le persone citate in ventotto capitoli. Le loro reazioni?
Alcune persone che l’hanno letto dicono che riconoscono le stesse emozioni che provavano all’epoca. Ma uno degli obiettivi era farlo leggere a chi non conosce la vita di fabbrica.

In poche parole come la descriveresti?
La fabbrica è una figura gerarchica. Sul luogo di lavoro c’è sempre qualcuno che ti dice cosa e come devi fare. La differenza tra una figura aziendale e un sindacalista è che mentre la prima è gerarchica, il secondo basa la sua forza sul consenso, sul confronto, sulla discussione nella battaglia quotidiana. Il sindacato per sua natura deve assumersi responsabilità, è anche compromesso e i miglioramenti sono anche quelli del giorno per giorno altrimenti se ti guardi dietro non trovi nessuno.

Quali erano i parametri per verificare il riconoscimenti del tuo ruolo di sindacalista?
La non indifferenza che suscitavo, i voti che ottenevo e gli iscritti che riuscivo a fare.

Quando ti è venuta la passione per lo scrivere?
Mi è sempre piaciuto scrivere, avrei voluto studiare, ma ho sempre dovuto lavorare. Finita la scuola elementare fui preso come ragazzo di bottega che andava a portare la spesa a casa, poi come pasticcere. A diciannove anni entrai in Piaggio, ma quando divenni delegato Fiom mi resi conto della mia ignoranza e cercai di recuperare. Iniziai a leggere moltissimo poi verso i venticinque anni anche a scrivere. E’ stato una forma di liberazione aver incontrato la Fiom. Mi ha fatto capire quanto sia fondamentale la conoscenza. Nell’ignoranza si subisce...

Sono cambiate molte cose nel sindacato?
In generale c’è più individualismo, prima il senso di solidarietà tra gli operai stessi era molto più alto. Nella Cgil il principio di solidarietà e non la logica di categoria è sempre stato un principio costitutivo, ci si è sempre posto il problema della crescita collettiva.

Nell’introduzione si afferma che “le tue storie non sono state scritte con la penna intinta nell’inchiostro della nostalgia per un qualche passato perduto”...Sì, perché non si va avanti con la testa rivolta al passato, ma la memoria è importante, senza memoria non c’è futuro. Chi mi ha invitato a pubblicare questo libro mi ha fatto comprendere che questo poteva essere il modo più importante di rendere omaggio a tutte quelle persone, quegli operai e compagni di lavoro che ho incontrato. Un modo per riconoscere il contributo che anche loro hanno dato per la crescita e per l’affermazione dei diritti.
Enrico Stampacchia

lunedì 12 marzo 2012

Sia fatta la mia volontà, il romanzo giallo pisano che narra l’amore, gay e non solo, senza etichette

Amore tra amici, amore tra padre e figlia, amore tra fratelli, amore di coppia, una coppia di due donne. Una relazione particolare, come lo è ogni rapporto di coppia, ma universale nell’espressione dei sentimenti, così simili eppur, nella singole storie, sempre così unici, diversi, irriducibili. Volerla definire più che dire troppo, significherebbe dire troppo poco. Chiara Del Nero, giovane scrittrice e psicologa di ventotto anni, nel suo romanzo di esordio, il giallo pisano Sia fatta la mia volontà prova semplicemente a narrarla. Centra il suo obiettivo: cogliere una relazione sentimentale dall’interno senza comprimerla attraverso l’uso delle terminologie a cui siamo abituati.
Il romanzo, presentato sabato 10 marzo a Pontedera presso il Centro per l’arte Otello Cirri da Cecilia Robustelli, del comitato scientifico del Centro, da Stefano Mecenati, direttore della collana di narrativa di Felici Editori, il Caleidoscopio, che ha pubblicato il romanzo, e dall’autrice, inizia nel passato, è narrato nel presente, ma è ambientato nel futuro, a Pisa.
Sullo sfondo dei molti rapporti sentimentali, sempre descritti mai giudicati, di cui l’unica e centrale relazione di coppia è quella omosessuale della protagonista si innerva un thriller ben scritto costruito con una trama di buon livello, di quelle che continueresti volentieri a leggere senza interruzioni per sapere come va a finire. Ma anche per scoprire il collegamento del thriller con il prologo. ...“Uno schianto. Uno scoppio. Un boato. Un suono sordo. Dopo il silenzio primordiale. Privo di tutto. Pieno di niente. Tutto intorno le lamiere contorte di un’auto nera come la pece arrivata a sventrare il cancello e a sporcare quella candida neve di un giardino d’infanzia”. Una tragedia iniziale coinvolge un bambino che aveva appena litigato con il fratello maggiore. Questo è l’unico dettaglio che ci è dato sapere. Dopo un lasso di tempo presumibilmente lungo ma imprecisato, nel settembre 2015, Pisa diviene teatro di una catena di misteriose morti, apparentemente tutte molto diverse tra loro eccetto per un particolare fondamentale che è preferibile lasciare alla scoperta del lettore. Ad affrontare i casi la protagonista, il maresciallo dei carabinieri Lucia Nuti, i suoi due colleghi dell’Arma, Giorgio di Stefano e il comandante della centrale, il capitano Giulio Dell’Osso supportati dal criminologo  Diego Di Casa. Rimarrà  intrappolata in questa ragnatela anche l'affascinante compagna di Lucia, Micol Portichetti, medico legale. All’inizio le loro indagini  avvengono spesso alla cieca. La ricerca della mente criminale che agisce da burattinaio interferisce nella vita di troppe persone.
I dettagli ci sono e sono evidenti specialmente se proviamo a scorrere il romanzo con una seconda lettura. La soluzione è sempre davanti agli occhi e il lettore si riappropria del diritto di capire cosa è vero e cosa è falso. Storie di vita comune si intrecciano, si confrontano e si scontrano in una piccola città come Pisa sulla quale si sviluppa l’intera vicenda quasi come se fosse una grande metropoli. Si produce per gli abitanti del luogo un effetto identitario di riconoscimento che fa sentire ancora di più il lettore dentro la storia.
“L’idea del romanzo – precisa l’autrice – è nato in un viaggio in treno di ritorno da una grande delusione personale per un esame su cui mi sentivo preparata che mi è andato male. Ho voluto trasformare una sconfitta in una vittoria. Sono stata ispirata dal tema della giustizia che, insieme a quello dell’amore, è centrale nel romanzo. La mia esperienza professionale in carcere, come psicologa, mi è stata di aiuto. Nel romanzo affronto il tema della giustizia dal punto di vista della vittima, ma anche da quello del carnefice”. Narrando e non giudicando.
Enrico Stampacchia

mercoledì 7 marzo 2012

Viva Verdi

Anniversari e celebrazioni storiche non sono ricordate solo con pubblicazioni ed eventi istituzionali o prodotti editoriali. Per tener viva la memoria storica, anche sul piano locale, in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia il calcesano Mario Pellegrini aveva voluto dare un contributo personale con la realizzazione di un breve opuscolo autoprodotto.
Intitolata Viva Verdi, la nota espressione risorgimentale che attraverso il tributo al grande compositore italiano intendeva indicare l’acronimo di quel che per la censura dell’epoca sarebbe stato assolutamente impronunciabile, ovvero “Viva Vittorio Emanuele Re d’Italia”, la pubblicazione è realizzata in modo artigianale con l’obiettivo dichiarato dallo stesso autore di rappresentare “l’appassionata partecipazione dei calcesani” alla celebrazione dell’evento e soprattutto contribuire a farlo apprezzare meglio. Il ricordo di concittadini calcesani (ma, più in generale, anche di pisani e toscani) protagonisti come “Silvestro Centofanti, che animò la spedizione degli universitari di Pisa a Curtatone e Montanara, e Giovanni Granucci che partecipò alla spedizione dei Mille” è inserito all’interno di una breve narrazione di noti eventi risorgimentali e del profilo di personaggi storici quali Mazzini, Garibaldi, Cavour, Vittorio Emanuele II.

Per il Sindaco di Calci, Bruno Possenti, è un contributo ed “uno stimolo ad approfondire e riflettere” capace, in poche pagine, di scorrere “quasi due secoli di storia”. La pubblicazione, densa di semplici e sintetiche notizie storiche, non si conclude con l’Unità d’Italia. Uno dei capitoli finali è dedicato alla Resistenza rappresentata, in perfetto accordo con il giudizio di molti storici, come secondo Risorgimento “che ha posto le basi per ricostruire un paese distrutto dalla guerra”. Per Pellegrini, che nel 1944 è tra i fondatori della Democrazia Cristina clandestina, eventi come l’insurrezione popolare a Genova del 21 aprile del 1945 o l’entusiasmo della popolazione milanese per la Liberazione del 25 aprile 1945 appaiono come ricorsi storici di avvenimenti risorgimentali quali, ad esempio, le “5 giornate di Milano” del marzo 1848. Pellegrini conclude la sua pubblicazione paragonandosi a chi per dipingere un quadro “ha intinto il pennello nei colori della tavolozza ed ha imbrattato una tela con alcune pennellate alla rinfusa”.

Enrico Stampacchia