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martedì 17 aprile 2012

Caro sindaco, parliamo di biblioteche di Antonella Agnoli.


“L’ordinazione elaborata e ghiotta che aveva intenzione di fare gli sfugge dalla memoria; balbetta; ripiega sul più ovvio, sul più banale, sul più pubblicizzato, come se gli automatismi della civiltà di massa non accettassero quel suo momento di incertezza per riafferrarlo in loro balia”. In un brano del suo romanzo Palomar Italo Calvino descrive l’incapacità del protagonista di orientarsi in una ricca fromagerie parigina. Oggi attraverso il web i negozi virtuali possono crescere all’infinito, sono ipermercati senza limitazioni fisiche, nelle dimensioni. In apparenza tutto è a portata di mano: il sapere, la cultura, la formazione. Nell’arco di una sola generazione la difficoltà di accesso dei prodotti culturali si è trasformata in sovrabbondanza, in offerta illimitata, la difficoltà della scelta in angoscia che rischia di risolversi nel rifugio in cio che è già noto, conosciuto, “esattamente come accadeva al signor Palomar”.
Tuttavia per Antonella Agnoli nell’era di internet c’è un ruolo che non è stato affatto soppiantato, anche se è certamente mutato nelle sue caratteristiche, quello della biblioteca di lettura. Una nuova funzione la rinnova nel suo ruolo di “diga contro l’imbarbarimento”, di “indispensabile infrastruttura democratica”: divenire un “facilitatore” tra libri e tecnologie come anche “per tutte le attività di creazione e di consumo culturale”.
Nel suo libro Caro sindaco, parliamo di biblioteche pubblicato da Editrice bibliografica e
presentato giovedì 12 aprile in occasione dell’incontro pubblico sulla nuova biblioteca comunale di Pisa, in costruzione e pronta per il prossimo autunno, Antonella Agnoli distingue le biblioteche di pubblica lettura da quelle di conservazione e di documentazione. Le descrive come servizi diversi: la prima, quella a cui l’autrice si riferisce, “è un’istituzione nata nel XIX secolo, soprattutto nei paesi di tradizione protestante, e rispecchia una certa idea della costruzione dello stato nazionale e della democrazia. E’ stata creata perché razionalità, libertà e democrazia richiedono che l’educazione sia il più possibile diffusa: ne va delle sorti della comunità politica”, dello sviluppo economico, “non di quelle del singolo individuo. E’ stata creata per alfabetizzare il 100% della popolazione”, per chi non ha strumenti culturali, non per chi li ha già. Tuttavia l’autrice di Caro sindaco sottolinea come in Italia la biblioteca di pubblica lettura non sia mai diventata un servizio indispensabile per ogni comune, ma sia “rimasta un optional affidata alla buona volontà e alla lungimiranza della singola amministrazione”, mentre all’estero, in molte città, è un’istituzione irrinunciabile di accoglienza per migliaia di bambini e adulti sia nei servizi che nella stessa struttura. Una vera e propria “piazza del sapere” e di incontro conviviale per socializzare, apprendere, essere accolto, leggere che per Agnoli dovrebbe rimanere aperta il più a lungo possibile, anche, magari, la sera e nei giorni festivi.
Tuttavia il problema per Agnoli non è quello di creare un bel contenitore, come spesso siamo portati a fare in Italia, ma definire il contenuto che è fatto del valore di chi la abita, della disponibilità di chi vi lavora, del conforto di chi accoglie i cittadini. Bibliotecari che aiutano chi non lo sa fare ad aprirsi una casella di posta elettronica nei computer della biblioteca, che contrastano la tendenza a quel analfabetismo funzionale che si traduce, magari, nell’incapacità di saper leggere il proprio conto bancario.
Un servizio pubblico ancor più irrinunciabile in tempi di crisi e di aumento delle povertà. La biblioteca è gratuita e anche attraverso l’uso di internet può divenire un luogo per consultare le offerte di lavoro, mandare un curriculum, ricevere informazioni per la vita quotidiana. Con il suo libro Agnoli intende dimostrare come tutto cio sia possibile anche in tempi di tagli di bilancio. Per la biblioteca pubblica è però necessario “coinvolgere la città nella propria vita, dimostrare ogni giorno la propria utilità” stimolando “la partecipazione di gruppi e di associazioni” e coinvolgendo volontari capaci di ampliare “lo spettro delle attività socioculturali da offrire”. Anche per costruire un tempo libero alternativo a quello passato rinchiuso in un centro commerciale.
Enrico Stampacchia

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