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domenica 18 marzo 2012

Storie di Piaggio, di amore e libertà: parla l'autore

“La fabbrica non è solo un luogo di lavoro, entri per lavorare ma diviene una comunità sociale dove umori, sensazioni si mischiano all’acre odore dell’olio emulsionato e la musica e i sogni ai rumori sgraziati delle catene e delle macchine”. Fabbrica, sindacato, comunità sociale e le loro interazioni sono al centro del libro di Franco Marchetti Storie di Piaggio, di amore e libertà pubblicato da Felici Editore. Presentato in una sala gremita, con oltre cento persone, martedì 13 marzo presso la Camera del Lavoro di Pisa oltre che dall’autore, da Gianfranco Francese, segretario generale della Cgil, Simone Millozzi, sindaco di Pontedera, Mauro Stampacchia, docente all’Università, il libro attraverso episodi, fatti di cronaca e aneddoti racconta quell’universo di uomini e donne che dentro la fabbrica lavorano, lottano, interagiscono con i loro sogni, desideri, comportamenti quotidiani.
Ne parliamo con Franco Marchetti, lavoratore Piaggio dal 1972 al 1995, delegato di fabbrica dal 1977 e dal 1991 al 1996 nel comitato direttivo nazionale della Cgil.

Come è nata l’idea del libro?
Quando ho scritto questi racconti non pensavo di scrivere un libro. Li scrivevo come note su facebook e generalmente rimandavano a temi di attualità connessi alla messa in discussione di diritti che non esistono per grazia ricevuta ma perché qualcuno in passato ha lottato per averli. Molte persone mi mandavano i commenti e alcuni mi suggerirono di pubblicarli perché queste storie di fabbrica non si raccontano più.

Si tratta di esperienze autobiografiche...
Non vuole essere un’autobiografia. In questa forma non sarebbe interessata a nessuno. Il mio obiettivo era dar luce a persone che sono anche parte di una collettività, far conoscere il senso di vivere una comunità come la fabbrica. Lo scopo non è raccontare in maniera storiografica, ma piuttosto far emergere i pensieri, gli umori, le sensazioni, e anche le cose minute di vita quotidiana, per conoscere e capire.

Parli della fabbrica, ma anche del sindacato. Lo fai trasmettendo una forte passione umana nell’attività sindacale, senza connotati di appartenenza, o di supponenza ideologica, tanto che è apprezzabile anche da sensibilità politiche che possono essere molto diverse dalle tue...
Non esisterebbero organizzazioni sindacali o forze politiche se non ci fossero persone parte di una collettività che partecipano. Sono persone che non finiranno sui libri di storie, ma senza di loro non si fa la storia. Nel mio libro ho voluto dare voce a questi uomini e donne, parlare di vita vissuta. Non avevo la presunzione di insegnare niente a nessuno. Non volevo idealizzare la classe operaia, l’operaio si fa per necessità non per scelta, volevo mettere in luce la quotidianità, la realtà delle cose da far comprendere a tutti nella loro semplicità.

Sono oltre centosessanta (compresi, però, molti personaggi pubblici) le persone citate in ventotto capitoli. Le loro reazioni?
Alcune persone che l’hanno letto dicono che riconoscono le stesse emozioni che provavano all’epoca. Ma uno degli obiettivi era farlo leggere a chi non conosce la vita di fabbrica.

In poche parole come la descriveresti?
La fabbrica è una figura gerarchica. Sul luogo di lavoro c’è sempre qualcuno che ti dice cosa e come devi fare. La differenza tra una figura aziendale e un sindacalista è che mentre la prima è gerarchica, il secondo basa la sua forza sul consenso, sul confronto, sulla discussione nella battaglia quotidiana. Il sindacato per sua natura deve assumersi responsabilità, è anche compromesso e i miglioramenti sono anche quelli del giorno per giorno altrimenti se ti guardi dietro non trovi nessuno.

Quali erano i parametri per verificare il riconoscimenti del tuo ruolo di sindacalista?
La non indifferenza che suscitavo, i voti che ottenevo e gli iscritti che riuscivo a fare.

Quando ti è venuta la passione per lo scrivere?
Mi è sempre piaciuto scrivere, avrei voluto studiare, ma ho sempre dovuto lavorare. Finita la scuola elementare fui preso come ragazzo di bottega che andava a portare la spesa a casa, poi come pasticcere. A diciannove anni entrai in Piaggio, ma quando divenni delegato Fiom mi resi conto della mia ignoranza e cercai di recuperare. Iniziai a leggere moltissimo poi verso i venticinque anni anche a scrivere. E’ stato una forma di liberazione aver incontrato la Fiom. Mi ha fatto capire quanto sia fondamentale la conoscenza. Nell’ignoranza si subisce...

Sono cambiate molte cose nel sindacato?
In generale c’è più individualismo, prima il senso di solidarietà tra gli operai stessi era molto più alto. Nella Cgil il principio di solidarietà e non la logica di categoria è sempre stato un principio costitutivo, ci si è sempre posto il problema della crescita collettiva.

Nell’introduzione si afferma che “le tue storie non sono state scritte con la penna intinta nell’inchiostro della nostalgia per un qualche passato perduto”...Sì, perché non si va avanti con la testa rivolta al passato, ma la memoria è importante, senza memoria non c’è futuro. Chi mi ha invitato a pubblicare questo libro mi ha fatto comprendere che questo poteva essere il modo più importante di rendere omaggio a tutte quelle persone, quegli operai e compagni di lavoro che ho incontrato. Un modo per riconoscere il contributo che anche loro hanno dato per la crescita e per l’affermazione dei diritti.
Enrico Stampacchia

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