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lunedì 11 giugno 2012

L'arte e la scuola che non c'è. Un libro racconta l'esperienza di Ilario Luperini

Motivo profondo della comunicazione, ricerca intorno ai significati e ai valori delle cose, momentanee verità non vincolate alle esigenze strumentali del mercato e della moda. La riflessione sull’arte nelle sue molteplici manifestazioni e soprattutto sull’importanza dei valori vformativi dell’educazione artistica è al centro del nuovo libro di Ilario Luperini L’arte e la scuola che non c’è pubblicato da Edizioni Ets e presentato giovedì 7 giugno nella sala, gremita per l’occasione, del Consiglio dei Dodici in piazza dei Cavalieri da Lucia Tongiorgi Tomasi e Alberto Batisti con l’introduzione del presidente del consiglio comunale di Pisa, Titina Maccioni, del dirigente scolastico del Liceo “F. Russoli” di Pisa, Gabriella Giuliani, e con il saluto del sindaco di Pisa, Marco Filippeschi, del presidente Fondazione Cavalieri di Santo Stefano, Umberto Ascani, del presidente dell’Associazione Amici dei musei e dei monumenti pisani, Mauro Del Corso.

Preside per ventitré anni, dal 1983 al 2006, dell’Istituto Statale d’Arte (oggi liceo) Russoli di Pisa, che quest’anno festeggia il cinquantesimo anniversario della sua fondazione, Luperini nel suo libro riesce molto bene a tenere insieme i risultati di questa esperienza con una riflessione sull’arte e sulle caratteristiche che dovrebbe avere un buon sistema formativo, quella scuola che in Italia non c’è, o almeno, ci piacerebbe poter dire, non c’è ancora.

Luperini particolarmente attento agli aspetti pedagogici, parte “da una constatazione: la prima componente che entra in causa nell’arte del disegno è la mano”. Sebbene vi siano “prove inconfutabili sul fatto che la nascita e lo sviluppo dell’intelligenza umana” abbiano avuto origine con la trasformazione degli arti superiori, “si è sempre ignorato il ruolo cognitivo che le attività della mano svolgono”. Per Luperini “sembra ormai accertato” che, nel processo di apprendimento, “il percorso verso l’autonomia critica parte” dal “sapere come”, quello operativo-performativo, e arriva al “sapere perché”, quello di una conoscenza di carattere esplicativo, attraverso il “sapere che”, ovvero quello di una conoscenza di tipo descrittivo.

Nel libro di Luperini si dimostra come “la questione dei valori formativi dell’educazione artistica” possa risolversi “solo a condizione che non sia mai scisso il momento storico-critico da quello operativo”. Una formazione incardinata sulla creatività, che “non deriva solo dall’intuito ma anche da conoscenze sistematiche” necessarie a gestire la progettualità, “non può che basarsi sull’attività produttiva, cioè sulla partecipazione attiva alla produzione culturale e non solo sulla semplice accettazione, seppur critica, di elaborazioni, ricerche e scoperte sviluppate da altri”. Potenzialmente la scuola artistica mette gli allievi in una condizione di immaginare, progettare, “trasformare un’idea in un oggetto”.

Luperini passa anche in rassegna le esperienze realizzate sul territorio. L’autore osserva che se i lavori dei ragazzi hanno dimostrato “estrema originalità di approccio e grande varietà di realizzazione”, il motivo dipende dal fatto “che durante tutto il percorso sono sempre stati invitati a far riferimento all’esperienza concreta, all’osservazione consapevole e analitica e a come la propria esperienza entrava in relazione” con quella degli altri “e con gli spazi e le realtà circostanti”.
 
“L’istituto d’arte Russoli – ha sottolineato Filippeschi – rappresenta un’esperienza di sperimentazione nazionale. Pisa è la città delle esperienze di riferimento nazionale nel sistema formativo. Un patrimonio costruito dall’impegno culturale e civico. Questo libro è un manuale dell’impegno: ci sono le idee e ci sono le esperienze”.
 Enrico Stampacchia

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