“Parole, parole, parole…” Non è esattamente l’inno nazionale, ma sul
piano del costume poco ci manca. Si dice anche “parole al vento”, si
intende parole non supportate da fatti. Ma se la conoscenza della nostra
tradizione, specialmente quella politica, proverebbe facilmente
l’esistenza di parole senza fatti, che dire del contrario? Possono
esistere fatti senza parole? “Immediatamente dopo il loro accadere i
cosiddetti fatti esisteranno solo se qualcuno li sostanzierà con le
parole. Tutto il lungo passato della nostra umanità è costituito da
fatti, ma nessuno esisterebbe per noi se qualcuno non li avesse
racchiusi in scrigni di parole in grado di conservarli“. Nel suo nuovo
libro Detto fatto, sugli usi e sugli abusi delle parole appena
pubblicato da Edizioni Ets e presentato in questi giorni al Salone
internazionale del libro di Torino, Piero Paolicchi, già docente di
psicologia sociale all’Università di Pisa, afferma che se il bue si
riconosce dalle corna l’uomo lo si riconosce dalla parola e indica come
per il senso comune e le scienze umane “le parole possono essere pietre
con cui colpire, bisturi con cui curare, vessilli dietro cui far muovere
intere masse”. Capirle vuol dire conoscere la loro storia, ma anche
interrogarsi sul "cosa sta facendo" e non solo sul "cosa sta dicendo",
significa capire chi le pronuncia, il "pulpito da cui viene la predica".
Per capire meglio i fatti è necessario interrogare “le parole con cui
sono narrati”.
Un viaggio nel mondo sempre meno frequentato delle
parole dove l’autore alterna i registri del saggio scientifico erudito
con quelli dell’ironia e del parlare popolare. Storie singolari ma
interpretabili solo sullo sfondo delle vicende a cui va incontro ogni
linguaggio diffondendosi e modificandosi, arricchendosi o impoverendosi.
Le patologie determinate nella nostra lingua dai moderni modi di
comunicare vedono in televisioni e cellulari i veicoli primari di
contagio. Tuttavia come i giochi di parole sono spesso anche giochi di
potere così l’imbarbarimento e l’impoverimento linguistico si
accompagnano sempre a quello culturale e morale.
Paolicchi ci
ricorda che “il patrimonio di cultura a cui tutte le parole
contribuiscono, non possono essere lasciate sulla bocca e nella testa,
dei molti o pochi che le usano, le abusano o le accantonano in un dato
momento sulla base di mode casuali e momentanee, ma deve essere protetto
in quel mondo più indipendente dagli scambi comunicativi che è il mondo
della scrittura”. Così se si parla e si ascolta per esigenze del
momento, si scrive sempre per il dopo. Messaggi che potranno essere
recepiti “anche dopo giorni, anni o secoli”.
Enrico Stampacchia
Nessun commento:
Posta un commento